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Il tema non è nuovo: la storia del potere è da sempre intrecciata con quella meno nobile delle menzogne del potere. E tuttavia rimane uno di quei nodi ineludibili che una democrazia è costretta ad affrontare, anche senza risolverli definitivamente. La domanda, insomma, è questa: è legittimo e, nel caso, in quale misura l’uso politico della menzogna? Di questo tema assai impegnativo abbiamo discusso con Adriano Prosperi, studioso dell’Età della Controriforma e del gesuitismo – periodi in cui simulazioni e dissimulazioni certo non mancavano – nonché puntuale osservatore della nostra attualità come editorialista di Repubblica. “Credo – argomenta – che pur senza essere legittima, di fatto la menzogna è parte essenziale della politica: lo è nella forma della propaganda, quando si fanno promesse sapendo che non si potranno mantenere; e nella forma del nascondimento o dell’alterazione delle informazioni di cui il potere politico è in possesso. Spesso i documenti di Stato vengono o distrutti o messi a disposizione della pubblica opinione a distanza di sicurezza dai fatti. Così abbiamo saputo solo successivamente che la crisi de missili a Cuba ebbe una storia segreta assai diversa da quella che ci è stata raccontata allora. Il presidente Usa John F. Kennedy si presentò come colui che aveva imposto la ritirata ai russi, laddove in realtà si trattò di un ritiro dei missili bilaterale e concordato: quelli russi a Cuba in cambio di quelli americani in Turchia".
Tuttavia in questo caso che lei cita si trattò di una scelta dettata dalla ragion di Stato.
Esattamente. E infatti c’è un’enorme distanza fra l’alterazione della verità di una scelta determinata dalla ragion di Stato e le bugie sui comportamenti privati, che riguardano la corruzione dei giudici, l’uso di falsi testimoni, la frequentazione di minorenni e così via. Io credo che quando un potente è accusato di dire delle menzogne o è in grado di giustificarsi o domanda scusa al popolo, o si dimette, poiché si rompe il vincolo fondamentale del patto politico tra il paese e chi è stato scelto dal voto democratico a rappresentarlo, un vincolo fondato sulla fiducia. In questo caso colui che mente deve togliersi di mezzo e, se non lo fa, chi permette che rimanga al suo posto assume su di sé la colpa e la vergogna. L’infamia ricade su tutti noi perché nel tollerare la menzogna modifichiamo le regole della morale pubblica, diventando mentitori noi stessi. Quindi, per ricapitolare, una cosa sono le bugie sui vizi privati, un’altra l’uso del falso nella lotta politica. Che nella politica si faccia uso della menzogna è scoperta antica. E che per lo Stato si possa mentire, che la morale del sovrano non sia quella del suddito lo ha teorizzato la trattatistica sulla ragion di Stato: ma oggi siamo in presenza di una politica che, spogliando il potente dei suoi attributi di maestà, togliendogli manto e corona, lo propone al consenso per i suoi difetti, per la sua normalità umana. E proprio perché proietta in lui i sogni e le aspirazioni del piccolo borghese vuole che gli si concedano tutte le trasgressioni e tutti i comportamenti immorali che il piccolo borghese sogna di fare se ne avesse il potere.
Insomma, secondo lei a un politico è lecito mentire?
Sappiamo che la menzogna deliberata, l’occultamento della verità in tutto o in parte, la deformazione che piega l’informazione in un senso o in un altro sono ineliminabili dai rapporti sociali e si moltiplicano in modo esponenziale quando è in gioco un potere, un qualsiasi potere. Ma l’avere fiducia nel politico è importante. Questo non significa aspettarsi che dica il vero su tutto quello che sa, e in Italia abbiamo una lunga esperienza di falsità di Stato e di silenzi su fatti decisivi e momenti terribili della nostra storia. Ci rassegniamo e ci consoliamo pensando che uno statista è come uno scienziato: ha accesso a conoscenze che non sono di dominio pubblico e che, se divulgate, possono risultare pericolose. Ma lo statista e lo scienziato, se possono fare un uso riservato delle informazioni, non debbono alterarle. E c’è di più: colui che dice la verità nei momenti difficili può chiedere fiducia e può saldare in una vera unità nazionale il popolo di un paese. Un paese è come un individuo: se lo si tratta da adulto e gli si dà fiducia, può crescere in democrazia e a sua volta offrire fiducia e aiuto a chi lo governa.
Cosa pensa, a questo proposito, della famosa battuta di Togliatti: le grandi bugie se le possono permettere solo le grandi istituzioni (Chiesa, grandi partiti, l’Urss)?
La storia, come Dio, non paga tutti i sabati, ma qualche conto è stato saldato. L’Urss è morta. Stalin si è guadagnato un posto eminente nella galleria dei Satana storici. Il “grande partito” di Togliatti è sprofondato in una crisi senza fine trascinando con sé quel poco di rinnovamento morale che gli italiani avevano atteso per il loro paese e affidato alla speranza comunista. Quanto alla Chiesa, la sua “verità” in genere non è verificabile, si colloca al di fuori della vita e della storia in un “altro mondo”. Ma quando ha fatto l’errore di imporre una verità relativa a questo mondo – una verità culturale, scientifica o politica – lo ha pagato: la condanna delle scoperte di Copernico e di Galileo, l’imposizione con la forza di dottrine non solo teologiche ma scientifiche sono stati errori che l’hanno screditata per secoli nella cultura moderna del mondo civile. a clamorosa vicenda della condanna di Galileo l’ha costretta per lungo tempo a tentare di nascondere il suo errore ai fedeli contando sull’ignoranza del popolo. Alla fine ha dovuto, sia pure tortuosamente, chiedere perdono per l’errore (mentre per l’inganno deliberato da parte delle gerarchie non lo ha mai chiesto).
Lei ha studiato a fondo la Controriforma e l’Inquisizione. Crede che alle radici di un’attitudine nazionale che, a differenza di quanto avviene per esempio nei paesi anglosassoni – e dunque di tradizione protestante –, non sembra tenere in gran conto menzogne e bugie ci sia anche questa matrice culturale profonda?
La storia ha lasciato al popolo italiano pesanti eredità. Sono convinto che esista una tradizione italiana su cui hanno pesato sia la Controriforma sia il fascismo: da noi nessun movimento di popolo ha mai rovesciato sovrani inetti o corrotti o punito governanti fedifraghi. Tuttavia penso che, più ancora di queste vicende passate, pesi soprattutto la corruzione, che non risparmia nessun gruppo sociale e nessuna regione. Anche la nostra ricchezza è una grande menzogna: è evadendo le leggi che gli italiani hanno lasciato alle spalle la povertà. Il paese ha un livello incredibile di consumi senza avere materie prime e un’industria moderna: una ricchezza frutto di un benessere pagato con l’illegalità.
Nella tradizione del pensiero occidentale non esiste solo l’opposizione bugia/verità. La nostra cultura ha conosciuto diverse sfumature, per esempio la verosimiglianza o la “dissimulazione onesta”, che entrambe attenuano la pregnanza della verità e sono ancora una volta di matrice secentesca. Cosa pensa di queste “attenuazioni”?
La questione ha radici nei fondamenti dell’etica e diramazioni nella morale individuale e politica. Non staremo qui a ricordare la norma evangelica che dovrebbe essere familiare a un paese dove si cita a ogni passo il celebre titolo di Benedetto Croce: Perché non possiamo non dirci cristiani. Quella norma aboliva il giuramento e chiedeva di dire semplicemente sì o no: senza sfumature. In base ad essa il cristiano Berlusconi potrebbe rispondere alle dieci domande postegli da la Repubblica con dieci semplicissimi monosillabi. E lui invece giura, magari sulla testa dei propri figli. E nemmeno è il caso di ricordare i fondamenti di una legge morale kantianamente viva nei nostri cuori, che ci chiede di agire in modo che ogni nostra scelta risponda a un principio universale. Qui si parla, più “banalmente”, di un uso strumentale dell’informazione che è alla base di carriere, successi commerciali e politici. E sappiamo che qui le bugie, le mezze verità, gli inganni involontari e quelli deliberati sono di casa. Averlo detto costò a Niccolò Machiavelli una condanna radicale da parte di tutte le varianti del cristianesimo europeo, il che richiese poi uno sforzo intellettuale durato più di un secolo per elaborare le norme della “ragion di Stato” come etica speciale con cui riconoscere al potere il diritto di mentire.
Torniamo all’attualità. Il caso Berlusconi-Noemi ha posto in primo piano il tema del rapporto tra pubblico e privato. Lei crede sia legittima per un uomo politico la menzogna sul privato a tutela della propria privacy o essa diventa immediatamente condannabile in quanto pronunciata da un uomo pubblico?
Per i cittadini di questo paese il rispetto del proprio privato è tra i diritti più calpestati che esistano: anche perché da noi l’assenza di una cultura dei diritti individuali aggrava la violenza dell’aggressione dei media nei momenti più difficili e delicati della vita delle persone. Non c’è stata nessuna cortina protettiva per il dolore di Beppino Englaro, non c’è rispetto per le donne vittime di violenze, non c’è riparazione per gli immigrati o per gli zingari sbattuti in galera sulla base di accuse infondate. La vita personale del presidente del Consiglio, invece, è tutelata da avvocati, guardie del corpo, stampa e televisioni di sua proprietà o a lui asservite. Tuttavia non va dimenticato che se si parla delle sue avventure sessuali, è perché lui stesso ha fatto del suo privato uno strumento di propaganda. Lui ci chiede un consenso non politico ma personale, un’ammirazione e un’identificazione senza residui nei confronti dei suoi comportamenti e nella sua condotta quotidiana. Dunque, se quello che dice è una menzogna e il paese lo accetta, si modifica il patto costituzionale tra governanti e governati: da oggi la bugia è glorificata, così come lo sono stati l’evasione fiscale e il disprezzo delle leggi. Berlusconi è lo specchio in cui il paese si guarda. La sua menzogna non è quella del leader democratico legato alla lealtà istituzionale verso l’opinione pubblica e che quindi quando mente deve scusarsi. La sua menzogna è la verifica che l’oro con cui ci abbaglia è falso e da buttare. Per questo non chiede scusa.
Un altro tema che, in relazione al rapporto tra verità e bugia, incrocia la nostra storia è quello delle grandi trame, i servizi deviati, le “stragi di Stato”…
Nella lunga storia dei servizi segreti italiani, che comincia col fascismo come ha dimostrato lo storico Mimmo Franzinelli, un tratto fondamentale è quello del loro uso di parte per trame di potere personale e non per la difesa del paese. Noi non abbiamo una “intelligence” ma l’Ovra, il servizio “affari riservati”, la raccolta di schede sui vizi personali e sulle materie per cui il concorrente nella corsa per il potere può essere ricattato. Come ha raccontato Roberto Scarpinato, se non si è corrotti, non si entra nella sfera dei poteri, quale che sia il loro livello.
Giuseppe D’Avanzo ha scritto recentemente di una nuova “civilizzazione” mediatica, “che ha progressivamente reso indifferente sulla scena politica e nel discorso pubblico la domanda: ‘che cosa accade davvero?’”. Lei pensa che sia l’uso dei media, la notizia, l’annuncio che s’invera nel momento stesso in cui viene pronunciato (e che non teme dunque verifiche successive, perché il “fatto” è già accaduto) ad aver contribuito a rendere così attenuata nella nostra civiltà l’idea della verità?
Credo che il contesto sia decisivo. E il contesto italiano è quello di un paese che non ha una forte tradizione nazionale e una cultura radicata nella scuola e nella ricerca individuale della verità. Qui si legge poco, si protesta se il libro di testo – l’unico a diffusione obbligata – costa troppo, ma non si protesta per il costo di cellulare, jeans, scooter e altro. Del tutto assente – a parte Google o Facebook – è un utilizzo diffuso dei media come strumento civile e politico. Se penso alla rapidità della reazione spagnola attraverso internet al tentativo di colpo di Stato post-franchista o alla menzogna del leader del Partito popolare Aznar dopo l’attentato di Al Qaeda a Madrid, mi chiedo perché la cultura di opposizione democratica in Italia sia stata assente in momenti decisivi: giustamente Perry Anderson ha parlato di “sinistra invertebrata”.
E per questo bisognerebbe rileggere i caratteri della cosiddetta cultura di sinistra italiana: vi ritroveremmo gli stessi caratteri del rapporto degli italiani con la religione, non per niente l’unica a rinascere dalle macerie del Partito comunista. Il problema oggi in Italia non è, a mio avviso, che il consenso popolare non sia stato demolito dalle bugie e dalle débauche del presidente del Consiglio: il problema è l’abiezione morale di un paese che non sta reagendo nelle sue istituzioni alla valanga di immondizia che ci copre tutti. Quello che sta accadendo richiederebbe una reazione immediata da parte degli uomini politici, anche di quelli del Pdl, da parte dei ministri, da parte della selva di amministratori pubblici e soprattutto da parte di coloro che hanno una riconosciuta funzione di educatori e di guide morali. Ha sicuramente buone ragioni il presidente del Consiglio per dedurre dal silenzio e dall’omertà o dall’indifferenza generale un assenso, addirittura un giudizio di approvazione. Non sarà approvazione, ma è certamente indifferenza morale quella che si ricava dagli echi di questa storia. Dove sono gli intellettuali, gli insegnanti, tutti coloro che hanno poteri e doveri nei settori delicatissimi dell’informazione e della formazione? In Italia, per fare un esempio, è mancata gravemente alle sue responsabilità l’informazione: dov’è la libera stampa, colonna portante della democrazia moderna? Spettava ai giornali chiedere immediatamente ai potenti una presa di posizione. Mentre i più importanti organi di stampa del mondo scrivono cose terribili sull’Italia e sul suo leader politico, da noi vediamo un solo giornale quotidiano portare avanti la battaglia in condizioni di isolamento e di criminalizzazione.
(da Il Mese)