PHOTO
Quella della riqualificazione dell’area Bagnoli ex Italsider è una storia lunga e complessa, che vede opinioni e tesi opposte scontrarsi su diversi punti. Sul perché della durata di un processo che si dovrebbe concludere, non si sa bene quando, con la restituzione di quest’area alla collettività, sull’intervento in esso di enti la cui presenza e attività è tuttora criticata da una parte dell’opinione pubblica partenopea, sull’individuazione delle priorità e, in generale, sulla gestione della tematica da parte delle amministrazioni che si sono succedute alla guida del capoluogo campano. Le polemiche, insomma, non mancano e non sono pochi coloro i quali fanno notare che, in oltre 20 anni trascorsi a pensare e tentare di attuare piani di bonifica e risistemazione del territorio in questione, non si è approdati a risultati concreti e soprattutto definitivi.
Stiamo parlando di un’area di circa 200 ettari ospitante un’azienda nata come Ilva nel 1905 e divenuta Italsider nella prima metà degli anni sessanta. La chiusura di questo stabilimento, che al culmine della sua crescita ha avuto a libro paga circa 8 mila dipendenti, risale al 1992, anno dal quale hanno cominciato a susseguirsi fatti che sembrano raccontare una storia senza fine. Di fatto, allo stato attuale delle cose, la conclusione di questa vicenda è ancora tutta da scrivere e, nell’immaginario collettivo, Bagnoli è un luogo chiuso, negato da tempo alle comunità locali, un dinosauro i cui resti testimoniano di epoche passate, quelle della grande industria del Sud. Ma questa coscienza collettiva è comune a chi ha vissuto in qualche modo quelle fasi della nostra storia e la precisazione è doverosa.
“I napoletani – almeno molti di loro – non sanno nulla di quest’area”, dice l’urbanista Alessandro Dal Piaz. Gli fa eco Antonio Di Gennaro, agronomo e giornalista esperto di questioni ambientali, il quale fa notare l’esistenza di “un’intera generazione che non c’è mai entrata”. Del resto, come già precisato, le vicissitudini di Bagnoli sono state tante da quel lontano 1992 e comprendono non solo opere di riqualificazione mai completate, ma anche episodi quali il fallimento di società come Bagnoli Futura, impegnata su quel versante, avvenuto nel 2014. Un anno prima la magistratura aveva aperto un’inchiesta su opere di bonifica mai attuate (l’accusa era di disastro ambientale), a cui aveva fatto seguito il sequestro dell’area. Ai fini della ricostruzione storica di questa vicenda va aggiunto che, nel 2015, Invitalia viene investita del compito di attuare la bonifica e gli interventi di recupero dell’area; in pratica è lo Sblocca Italia a definire ruoli e competenze in questa operazione: lo Stato fa da garante, Invitalia si impegna a sollecitare l’interesse di investitori privati da coinvolgere nella riqualificazione del territorio interessato. Quest’ultimo viene dissequestrato e restituito a Invitalia l’anno scorso. Si riparte, quindi? Non tutti sono d’accordo, c’è chi non vede sviluppi concreti e/o critica la logica dell’operazione.
Lo stralcio urbanistico del Praru (il Programma di risanamento ambientale e di rigenerazione urbana), solo per fare un esempio, non è stato condiviso dalla Regione, che ha sollevato obiezioni relativamente ad alcuni punti, tra cui l’insufficienza di informazioni dettagliate sul recupero delle abitazioni del borgo Coroglio, sugli interventi pensati per la Città della Scienza, sull’assenza di garanzie relativamente alla permanenza delle attività dello storico circolo Ilva e sulle lacune esistenti in termini di documentazione riguardante la sostenibilità finanziaria del programma. Ma c’è dell’altro: un documento condiviso da Cgil, Cisl e Uil Napoli, di Fai Campania e del Wwf sollecita interventi per superare “la situazione di stallo” che secondo tali organizzazioni caratterizza tuttora la situazione dell’area Bagnoli ex Italsider.
Il testo considera il Praru e il rapporto ambientale sottoposti a Vas (la Valutazione ambientale strategica), “pesantemente inadeguati alla luce del fatto che nella documentazione prodotta da Invitalia a base dalla Vas” risultano mancanti i progetti di bonifica, dati corretti sulle superfici fondiarie e territoriali e un inquadramento paesaggistico e urbanistico con il quale intervenire efficacemente nell’area in questione, un modello di mobilità sostenibile per “migliorare i servizi di trasporto funzionali alle nuove attività previste nella zona di intervento” e una descrizione attendibile dei risultati attesi dagli interventi di bonifica.
Il documento esprime preoccupazione anche per le notizie sulla scarsità di risorse finanziarie a disposizione di fronte a un intervento di notevole entità e sottolinea una serie di necessità riguardanti vari campi. In esso si sollecita un impegno concreto volto a “ricostruire, dopo vent’anni, un rapporto diretto tra popolazione e luoghi”, si raccomanda un’opera di ricognizione delle risorse finanziarie disponibili a partire dai fondi europei del Fesr Campania 2014-2020, si considera di importanza basilare la ripresa di un dialogo istituzionale fra tutti i soggetti coinvolti: Comune, Città metropolitana, Regione e governo nazionale da impegnare in un tavolo con cui superare incomprensioni e divergenze. Non solo. I soggetti che hanno partecipato alla redazione del testo sostengono che occorra anche abbandonare l’impostazione basata su “un grande progetto ingegneristico unitario” e dar luogo a una pianificazione urbanistica articolata in fasi poliennali.
Dal Piaz concorda e sostiene che a suo avviso bisogna mettere da parte i progetti da grande opera. “C’è un’area da recuperare – afferma – con una logica basata sulla pianificazione urbana. L’importante è dar luogo a stralci operativi in cui bonifica e rigenerazione vadano di pari passo”. L’urbanista aggiunge che si tratta di procedere al ritmo di stralci pluriennali di progetti concreti con soldi certi, interlocutori accuratamente individuati per la fruizione delle opere in programma e tenere conto di un aspetto fondamentale che è rappresentato dai trasporti. Fermo restando che vi sono diverse visioni su come affrontare la bonifica del territorio di Bagnoli, Dal Piaz non condivide la visione per la quale prima si fanno le opere di bonifica e poi la realizzazione delle strutture; a suo avviso in questo modo si rischia di ripetere l’esperienza fallimentare di Bagnoli Futura e si prolunga lo stato di esclusione di quell’area dal resto della città.
Dello stesso parere è Di Gennaro, che pure considera sbagliata l’impostazione basata sugli interventi preliminari di bonifica, in cui vede una perdita di tempo e di denaro. “Al momento sono stati spesi 600 milioni di euro in queste operazioni – spiega –, si prevede di utilizzarne altri 400, facendo sì che la bonifica non sia più strumentale alla rigenerazione dell’area, ma divenga la vera opera pubblica”. L’agronomo e giornalista dissente pertanto dalla linea adottata da Invitalia e fa notare che a tutt'oggi manca l'analisi di rischio, ossia la rilevanza di quei dati sulla salute delle persone e dell'ambiente. Per Di Gennaro, che concorda con Dal Piaz sulla necessità di chiarire a titolo preliminare quali saranno gli assetti infrastrutturali del territorio, per poterlo rendere accessibile, fruibile e appetibile agli occhi degli investitori privati, con lo Sblocca Italia il Comune di Napoli è stato estromesso dalla gestione degli interventi di recupero dell’area di Bagnoli a tutto vantaggio di Invitalia.
Non la pensa così l’assessore all’Urbanistica Carmine Piscopo, che difende l’operato della giunta di cui fa parte e il suo impegno a riconsegnare Bagnoli alle comunità locali. “L’amministrazione comunale ha fatto molto – sostiene –, ha preso parte a tutti i tavoli per i fondi europei, l’urbanistica e l’ambiente, e messo a disposizione la sua struttura”. L’assessore fa notare che in mancanza di questo impegno durato diversi anni non si sarebbe arrivati a un dpr, e aggiunge che, per rendersi conto dei passi fatti avanti, basta notare le differenze esistenti fra il piano approvato nel 2016 dall’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi e quello odierno, che – sottolinea – “tiene in debita considerazione le norme tecniche di attuazione delle opere individuate insieme a Invitalia, alle strutture commissariali e alla Regione”, che aveva espresso parere contrario rispetto al Praru, “a differenza – sostiene ancora Piscopo – del Mibac, del ministero dell’Ambiente, delle sovrintendenze locali e di altri soggetti rappresentanti le amministrazioni statali”.
Per l’assessore, l’affermazione secondo cui il Comune di Napoli è stato estromesso dalla gestione di Bagnoli è frutto di un equivoco legato al modo autonomo in cui Invitalia ha presentato il concorso di progettazione. Una modalità che, sempre secondo Piscopo, è stata scelta perché il concorso potesse contare su una partecipazione adeguata e per evitare facili sovrapposizioni della politica. Per l’assessorato all’Urbanistica quella della riqualificazione dell’area di Bagnoli è una priorità assoluta per realizzare la quale, però, è necessario partire in via preliminare con le opere di bonifica, in quanto si parla di un territorio inquinato. Su questo vi sono pareri fortemente discordanti e se l’assessore Piscopo parla di prospettive future concrete per Bagnoli, Dal Piaz, Di Gennaro e altri osservatori critici descrivono una situazione bloccata, facendo presente il rischio che il processo si allunghi ulteriormente, vanificando ogni speranza. Quella di restituire a Napoli un’area di grandi potenzialità e aprire un nuovo capitolo nella storia economica della regione Campania e di tutto il Mezzogiorno con la creazione di un cospicuo numero di preziosi posti di lavoro.