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Attorno all’una del mattino del 4 agosto 1974, all’uscita dalla galleria degli Appennini, nei pressi della stazione di San Benedetto Val di Sambro (Bologna), un ordigno ad alto potenziale esplode nella quinta vettura del treno Espresso 1486 Italicus diretto a Monaco di Baviera, determinando la morte di 12 viaggiatori e il ferimento di moltissimi altri.
Tre delle vittime sono cittadini stranieri: Herbert Kontriner, 35 anni di nazionalità tedesca, Fukada Tsugufumi, giapponese di 31 anni, e l’olandese Jacobus Wilhelmus Haneman, di 19 anni. Nove le vittime italiane: Nicola Buffi (51 anni, di San Gervaso, Firenze), Elena Donatini, rappresentante Cisl dell’Istituto biochimico di Firenze; Elena Celli (67 anni, di Roma), Raffaella Garosi (22 anni di Grosseto), Antidio Medaglia (70 anni, di Perugia).
L’ordigno pone fine anche alla vita di tre membri della famiglia Russo di Merano, che si stava recando a Ferrara per le cure di cui aveva bisogno il figlio quattordicenne: il padre Nunzio, tornitore delle ferrovie, sua moglie Maria Santina Carraro, lo stesso Marco. Ultima vittima accertata, Silver Sirotti, ferroviere conduttore delle Ferrovie dello Stato, insignito di medaglia d’oro al valor civile alla memoria per aver tentato di soccorrere i viaggiatori coinvolti nella strage.
Secondo le testimonianze di due agenti di polizia presenti sul posto: “Improvvisamente il tunnel da cui doveva sbucare il treno si è illuminato a giorno, la montagna ha tremato, poi è arrivato un boato assordante. Il convoglio, per forza di inerzia, è arrivato fin davanti a noi. Le fiamme erano altissime e abbaglianti. Nella vettura incendiata c’era gente che si muoveva. Vedevamo le loro sagome e le loro espressioni terrorizzate, ma non potevamo fare niente poiché le lamiere esterne erano incandescenti”.
Dentro al treno la temperatura era già altissima. “Mettetevi in salvo, abbiamo gridato, senza renderci conto che si trattava di un suggerimento ridicolo data la situazione. Qualcuno si è buttato dal finestrino con gli abiti in fiamme. Sembravano torce. Ritto al centro della vettura un ferroviere, la pelle nera cosparsa di orribili macchie rosse, cercava di spostare qualcosa. Sotto doveva esserci una persona impigliata. Vieni via da lì, gli abbiamo gridato, ma proprio in quel momento una vampata lo ha investito facendolo cadere accartocciato al suolo”.
La seduta della Camera dei deputati del giorno successivo è sospesa in segno di lutto: “Onorevoli colleghi – sarà tristemente e nuovamente costretto a dire il presidente della Camera Sandro Pertini –, ancora una volta ci raccogliamo e pieghiamo commossi e sdegnati sulle vittime innocenti e le enormi sofferenze causate da una nuova efferata e cinica strage. Vittime innocenti e ignare sono cadute stroncate dall’attuazione di un lucido disegno che, da piazza Fontana a Milano a piazza della Loggia a Brescia, sul treno a San Benedetto in Val di Sambro rivela gli obiettivi di una unica strategia: utilizzare la tensione, il terrore e la strage per sovvertire con la violenza le istituzioni della nostra Repubblica democratica e antifascista”.
“Con animo ferito e profondamente commosso – le parole emozionate del futuro presidente della Repubblica – esprimiamo, a nome del popolo italiano che qui rappresentiamo, il nostro intimo cordoglio ai parenti delle vittime innocenti e la nostra piena, umana, affettuosa solidarietà ai feriti e ai loro congiunti così duramente colpiti da questa infame tragedia. Ma commozione, esecrazione e sdegno rimarrebbero sterili e vuote parole se non fossero seguiti dall’impegno operante di stroncare e chiudere definitivamente questa inumana catena di orrendi delitti. Occorrono azioni decisive e risolutive contro chi è mosso da un odio tanto tenace: l’odio per la democrazia e la pace sociale, l’odio per le nostre libere istituzioni che rappresentano il popolo e quindi l’odio verso il nostro popolo stesso, che tante prove ha saputo dare e dà di civile convivenza, di democratica unità, di profonda, unitaria coscienza antifascista”.
“Avrebbe potuto essere una strage spaventosa, uno dei più apocalittici massacri che una mente criminale abbia mai ordito – scriverà il 14 agosto Mario Doplicher su Giorni–Vie Nuove –. La bomba era disposta su un treno che correva in una notte afosa d’agosto trasportando quasi mille persone; come camera di scoppio era stata scelta la galleria dell’Appennino, che con i suoi diciotto chilometri e mezzo avrebbe moltiplicato e ingigantito gli effetti dell’esplosione; … invece, per fortuna, il treno, come spesso accade d’estate, è in ritardo, e all’1,23, quando avviene lo scoppio, la quinta vettura – una carrozza delle ferrovie tedesche su cui era stato sistemato l’ordigno – si trova a soli cinquanta metri dall’uscita della galleria. Così, grazie alla forza d’inerzia il treno riesce a raggiungere la stazioncina di San Benedetto Val di Sambro con una sola carrozza in fiamme”.
Ma quei cinquanta metri sono cinquanta metri d’inferno: “Dodici persone rimangono carbonizzate passando in un attimo dal sonno alla morte – l’amara contabilità di Doplicher –, decine rimangono ferite, altre ancora in preda al terrore, si gettano dai finestrini e si trascinano sanguinanti sui bordi della massicciata. (…) Il capostazione di San Benedetto dà l’allarme, accorrono altri ferrovieri svegliati dal boato, vengono organizzati i primi soccorsi alla luce sinistra dell’incendio e delle lunghe scintille azzurre provocate dalla caduta della linea ad alta tensione. I feriti più gravi vengono inviati a Bologna a tempo di record: alcuni di loro, se sopravviveranno, rimarranno ciechi per sempre; altri rimarranno orrendamente sfigurati”.
Ilaria Romeo è responsabile Archivio storico Cgil nazionale