Quattro lavoratori, da tre regioni diverse, con problemi forse diversi ma un sentire e una rabbia comuni. Antonio, dal Piemonte, 25 anni all'Iveco, è qui col figlio (questa è una manifestazione piena di padri e figli). "L'azienda non va bene - racconta - il mercato precipita, c'è la cassa integrazione. Nessuno di questi problemi sarà risolto abolendo l'articolo 18. E che sia il Partito Democratico a proporre misure simili, mi fa davvero arrabbiare".

Appuah, 39 anni, viene dalla Campania, anzi dal Ghana. È in Italia da 10 anni. Ora collabora con la Camera del Lavoro di Caserta e ha una risposta per Renzi: "Dov'era il sindacato? Per me c'è stato, ed è stato fondamentale. Senza il sindacato non avrei affrontato e risolto nessuno dei problemi che ho avuto, qui in Italia, e non avrei conosciuto i miei diritti."

Fioravante, 34 anni, viene dall'Umbria. Lavorava all'Antonio Merloni, un'azienda importantissima del centro Italia: frigoriferi, lavatrici, lavastoviglie. La Merloni è fallita. 1300 lavoratori licenziati solo in Umbria. 700 riassunti dalla J.P. Industries, che ha rilevato l'attività. Ma le banche hanno fatto ricorso contro la cessione al nuovo acquirente. Quindi i 700 "fortunati", tra cui Fioravante, sono in cassa integrazione, non lavorano. "È una situazione assurda - spiega Fioravante - qui c'è un imprenditore che vuole riavviare l'attività, i lavoratori che vogliono produrre, e le banche che lo impediscono. Il governo dovrebbe difendere le fabbriche dalle banche".

Accanto a lui Maria Stella, 50 anni, è tra gli ex lavoratori Merloni non riassunti: "Sono incazzata nera. Ero nel pieno della mia attività lavorativa. Mi hanno licenziato. Se mai ritroverò un lavoro, grazie al Jobs Act di Renzi, sarà senza articolo 18 e con le tutele crescenti. È una vergogna."