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Franco Ottaviano, presidente dell'Associazione della Repubblica, potrebbe essere definito scrittore militante, se non fosse riduttivo. Nel fatidico 1968 lascia gli studi di architettura per vivere in prima persona l’onda rivoluzionaria del nascente “Movimento”, prima di decidere di iscriversi agli inizi del decennio successivo nelle fila del Pci, di cui sarà deputato dal 1976 al 1983. In sintesi, coltiva una serie di esperienze che lo porteranno alla scrittura di alcuni volumi, tra cui ricordiamo per l’editore Rubbettino La rivoluzione nel labirinto (1993), e 68. La rivolta giovane, uscito nel 2018 per Harpo, giovane e coraggioso indipendente romano, che già nella scelta del logo, un piccolo elefante in cammino, lascia intuire di voler focalizzare la propria linea editoriale guardando ai temi della memoria e del ricordo.
Da qui, per lo stesso editore, questo nuovo libro dal titolo 1969. La rivolta operaia. Cronache e documenti (pp. 317, € 18), che riesce a mettere insieme la puntualità dello storico all’originalità di una narrazione da subito recepita dal lettore come fortemente vissuta, raccontando quella che fu ormai oltre mezzo secolo fa la battaglia delle tute blu, degli edili, dei lavoratori delle grandi e piccole fabbriche, di quei tanti braccianti che in quel periodo conquistano non soltanto le piazze, ma l’attenzione della pubblica opinione, soprattutto di quelli definiti “padroni”. I loro padroni.
Le richieste di allora sono quelle che suonano bene (o meglio non troppo bene) anche nella nostra contemporaneità: più salari, una lotta dura per i diritti in fabbrica, il desiderio di un pacchetto di riforme che davvero, e nel profondo, trasformi le politiche economiche e sociali del periodo.
Tra i meriti dell’autore va evidenziata la capacità di esprimere con estrema chiarezza come la stagione dell’Autunno caldo (qui lo speciale di Rassegna) non sia stata, come a volte viene descritta, una sorta di improvvisa esplosione, ma un percorso lungo e articolato, compiuto all’interno dello stesso decennio, il decennio operaio per l’appunto, apertosi all’inizio degli anni Sessanta e che alla fine dello stesso raggiunge il suo culmine, facendo diventare il 1969 una sorta di anno di confine, punto di partenza e di non ritorno, che porterà subito alla stesura dello Statuto dei lavoratori, la legge 300 del 20 maggio 1970, prossimamente celebrata per i suoi cinquant’anni.
Naturalmente nella ricostruzione di Ottaviano grande spazio viene dedicato al ruolo decisivo assunto dalla tensione rinnovatrice dell’azione sindacale, che si “politicizza” in un crescendo di battaglie per rivendicare nuove e più umane condizioni di lavoro, non soltanto nelle fabbriche, per cercare di garantire ai lavoratori anche una migliore qualità della vita: un aspetto, questo, ulteriormente approfondito dopo nemmeno un decennio da un altro Movimento, quello del ’77, in particolare nel cuore della sua cosiddetta “ala creativa”, troppo presto surclassata dalla componente armata.
Il 1969 è infatti l’anno degli aumenti uguali per tutti, delle 40 ore, del controllo sull’organizzazione del lavoro, delle trattative senza alcuna tregua sindacale; ma è anche l’anno dell’unione con gli studenti, giovani studenti, al fianco di giovani operai. Una mescolanza virtuosa e irripetibile, che produce un ribollire di sperimentazioni e innovazioni animate da desideri e speranze, strappando conquiste sino a poco tempo prima neanche immaginabili.
Forse sarà per questo (forse sarà proprio per questo), che il 1969 si concluderà con l’inizio della stagione marchiata a fuoco dalla definizione di “strategia della tensione”. La bomba che alle 16.37 del 12 dicembre esplode a Milano, nella filiale di piazza Fontana della Banca Nazionale dell’Agricoltura, segna la fine di un’epoca e l’avvio di un’altra fase storica buia che mezzo secolo dopo non abbiamo ancora superato del tutto.