Il salto da London calling a London falling non è stato breve. Di sicuro intenso. Con il voto di ieri arriva a conclusione l’Odissea Brexit, perché se ancora ce ne fosse stato bisogno il popolo britannico ha scelto fin troppo chiaramente l’uscita dall’Unione Europea. Il partito conservatore guidato dal falco Boris Johnson non solo ha vinto ma ha stravinto. E così, trionfante, oggi Johnson ha rilanciato quello che è stato il suo cavallo di battaglia durante la campagna elettorale: “Andremo avanti con la Brexit senza se e senza ma, usciremo il 31 gennaio uniti - ha detto ai sostenitori - È la più grande vittoria dagli anni 80, quando molti di voi non erano neanche nati". In effetti meglio di lui aveva fatto solo Margaret Thatcher. Il Labour del socialista Jeremy Corbyn incassa il colpo, promette un processo di riflessione, si dice orgoglioso di aver portato un messaggio di speranza, unità e giustizia mentre lui, il leader da cui la sinistra europea si aspettava sicuramente molto, e decisamente di più, fa intendere che si dimetterà dalla guida del partito. Per Andrea Malpassi, dell’Inca UK, responsabile dell’Osservatorio Brexit: “Nessuno si aspettava che le elezioni andassero così male per il Labour. Nella sede londinese del patronato, una cinquantina di ragazzi e ragazze ieri sera hanno atteso i primi risultati con realismo ma anche con un pizzico di curiosità e speranza per vedere se in fondo si riusciva a ottenere un parlamento che non consegnasse ai tories di Johnson una maggioranza tanto netta. La reazione degli italiani invece adesso è di sgomento. Nei visi e nelle parole c’è davvero tanta preoccupazione”. Al contrario “A Bruxelles, a parte le espressioni di rammarico, inevitabili in queste circostanze, c’è sollievo - racconta Andrea Bonanni, inviato del quotidiano la Repubblica nella capitale europea - perché questa storia infinita, durata tre anni e mezzo, ha fatto male a tutti e ha distratto l’attenzione da problemi molto più gravi”. Forse e soprattutto -conferma Andrea Malpassi - ha distratto dai motivi che hanno rafforzato la determinazione inglese a lasciare l’Europa: “Sono quelle cause sociali presenti in tanti altri paesi europei che hanno portato interi segmenti della popolazione britannica, gravati più di altri dalla crisi economica e dall’austerità, a non fidarsi più né della politica tradizionale, né tantomeno dell’Europa”. È adesso, però, che comincia la vera partita: il nuovo negoziato che prenderà il via a partire dal 31 gennaio, dopo la firma che ufficializzerà l’uscita del Regno Unito dalla UE e che dovrà definire tutti i dettagli. Andrea Bonanni ricorda, infatti, che “Come in un matrimonio, si è definita la separazione dei due coniugi, ma non tutto il resto, adesso si tratta, quindi, di stabilire i dettagli del divorzio. Non sarà cosa da poco. Dubito che basteranno undici mesi, come in teoria, dovrebbe essere a questo punto”. Intanto il pericolo è di un effetto domino. Interno. Con la Scozia che vuole restare in Europa e potrebbe chiedere un nuovo referendum per l’indipendenza, e il Nord Irlanda che su questa spinta potrebbe invece riunirsi a Dublino. Esterno. E questo pericolo tocca anche l’Italia. “Da Londra abbiamo contato quanto tempo sarebbe passato prima che Matteo Salvini si appropriasse con un tweet o un post di Facebook della vittoria di Boris Johnson - racconta Andrea Malpassi - Pochissimo. Ora vedremo quanto tempo passerà prima che ricominci a tuonare contro l’euro, contro l’Europa e a dire che anche l’Italia deve fare questo referendum e votare per uscire dall’Unione europea”.
London Falling
Dalle urne inglesi il responso sulla Brexit. Con Andrea Bonanni, la Repubblica e Andrea Malpassi, Inca Cgil Uk. A cura di Martina Toti
13 dicembre 2019 • 15:58