da Rassegna sindacale Nel 2018 il tasso di occupazione italiano è tornato sul livello di dieci anni prima, sopra i 58 punti percentuali. Nella fascia di età tra i 15 ed i 64 anni lavorano quindi in Italia meno di 6 residenti su 10. Tale percentuale, come già accadeva nel 2008, è nettamente inferiore alla media dell’eurozona (58,4% contro 67,1%), con una crescita del divario, e nettamente la più bassa tra le quattro maggiori economie dell’area (oltre all’Italia, Germania, Francia e Spagna). È quanto emerge da un rapporto diffuso oggi (30 gennaio) dalla Fondazione Di Vittorio, dal titolo "Le anomalie del mercato del lavoro fra Italia e Europa". Nello stesso periodo di tempo, spiega la ricerca, il nostro tasso di inattività, nonostante una flessione nello stesso periodo, resta nettamente superiore alla media dell’eurozona (34,4% contro 26,7% nel 2018) e nettamente il più elevato tra le quattro maggiori economie dell’area. Il tasso di occupazione italiano, che è tornato a livello del 2008, mostra un guadagno rispetto agli anni ’80 e ’90, quando era intorno al 54% (ora è al 58%). Tuttavia, fa una certa impressione constatare che il numero di occupati full-time è nel 2018 prossimo ai 19 milioni: sostanzialmente sugli stessi livelli del 1993 (primo anno disponibile nella serie Istat), mentre il numero totale di occupati, di poco superiore a 23 milioni, è dovuto alla crescita dell’occupazione part-time che supera quota 4 milioni, contro circa 2,5 negli anni ‘90. Sul fronte del lavoro dipendente, i dipendenti a tempo determinato (media 4° trimestre 2017 - 3° trimestre 2018) sono quasi 3 milioni, contro i circa 2,3 milioni del 2008 e i circa 1,8 milioni del 1998. L’incremento del lavoro dipendente non standard e parzialmente standard (tempo indeterminato part-time, in gran parte involontario) ha compensato la flessione, oltre che del lavoro dipendente anche del lavoro autonomo. CRESCE IL DIVARIO TERRITORIALE Si conferma - se ce ne fosse bisogno - che il divario territoriale in Italia è molto ampio: il tasso di occupazione nel Nord si attesta sui livelli medi dell’eurozona; il Centro Italia si colloca un gradino sotto, vicino ai livelli di Francia e Spagna. Il Mezzogiorno presenta una situazione critica, con oltre 22 punti percentuali in meno in termini di tasso di occupazione e oltre 18 punti in più in termini di tasso di inattività rispetto al livello medio dell’eurozona; ed è nel 2018, non solo inferiore ai livelli pre-crisi, ma anche ai valori che si registravano a cavallo tra gli anni ’80 e ’90. Anche il tasso di disoccupazione nelle regioni meridionali (+6,6% rispetto al 2008), è circa il doppio della fine degli anni ’70 e superiore anche a quello degli anni ’80. Non solo dunque si conferma che i divari territoriali in Italia sono ampi, ma anche una loro tendenza ad allargarsi nel tempo. Nonostante il basso tasso di occupazione, quello di disoccupazione, per effetto dell’elevato tasso di inattività, è più alto di quello medio dell’eurozona ma con uno scarto nettamente inferiore a quello che si registra per il tasso di occupazione (meno di 2 punti e mezzo contro oltre 8 punti e mezzo). Si spiega così anche il fatto che la quota relativa di inattivi “potenziali” (individui che non cercano attivamente lavoro ma ne vorrebbero uno e sono disponibili ad iniziare subito a lavorare) è il triplo della media della zona euro. Il tasso di disoccupazione nel Mezzogiorno è simile a quello spagnolo (18,6% contro 15,8%), nonostante i 17,5 punti percentuali in meno nel tasso di occupazione. Il Nord presenta un tasso di disoccupazione di circa 2 punti percentuali inferiore alla media Eurozona (6,6% contro 8,4%), mentre il tasso di occupazione è quasi esattamente pari a quello medio dell’area (67,2% contro 67,1%). La stessa situazione si ripresenta per il Centro Italia, che ha un tasso di occupazione (63,2%) inferiore di quasi 4 punti percentuali, ma un tasso di disoccupazione superiore di poco più di un punto alla media (9,5% contro 8,4%). GLI INATTIVI CHE NON CERCANO LAVORO La quota di “potenziali disponibili” espressa in rapporto alla popolazione attiva è in Italia molto più elevata della media dell'eurozona (11,3% contro 3,7%). Il dato del Mezzogiorno rappresenta una vera e propria anomalia (quasi il 25%), prosegue il rapporto. Va tenuto presente che nell’eurozona il valore che si trova al secondo posto è quello finlandese con il 4,7%. Nell’intera Unione europea subito dopo l’Italia si trova la Croazia con il 7,1%. In modo abbastanza evocativo, afferma la Fondazione, nel sito dell’istituto nazionale di statistica finlandese si definiscono le “forze di lavoro potenziali disponibili (ad iniziare immediatamente a lavorare)” come Persons in disguised unemployment, ossia “disoccupati nascosti”. Si tratta, anche in Italia, di individui che non hanno cercato attivamente un’occupazione nelle quattro settimane precedenti quella di riferimento dell’intervista, ma che per il resto “assomigliano” molto ai disoccupati e, inoltre, che per i due terzi si definiscono disoccupati o in cerca di prima occupazione. Per ricostruire il quadro d’insieme, un ulteriore tassello è costituito dalla percentuale di inattivi che vorrebbero lavorare ma non cercano lavoro. Si tratta di un insieme che ricomprende le forze di lavoro potenziali disponibili, ma che include anche gli individui non immediatamente disponibili ad iniziare a lavorare. La statistica dell’Eurostat restituisce per l’Italia un’elevata incidenza di tale quota di inattivi che, nel 2018, si colloca sopra il 28%, contro una media eurozona di 11 punti percentuali inferiore. In Francia il valore è di poco superiore al 10% e in Germania è al 13,6%, mentre in Spagna supera il 15%. Il fenomeno è generalmente in crescita nell’eurozona, ma la percentuale resta in Italia la più alta, con quella irlandese, dell’area. DILAGA IL PART-TIME INVOLONTARIO La percentuale italiana di part-time resta, nonostante un trend in crescita, con il 18,5% inferiore alla media dell’eurozona, che si colloca sul 22%. In termini di ore abitualmente lavorate il part-time italiano si posiziona a ridosso delle 22 ore settimanali, con una riduzione d’orario quindi consistente. Nel nostro Paese, tuttavia, è nettamente più alta la percentuale di part-time involontario, che nel 2017 si attestava sopra il 60% contro il 27,9% della media dell’eurozona (e contro il 40% del 2008). Nel 2018, l’incidenza del part-time involontario in Italia è aumentata ancora. Nel Mezzogiorno tale percentuale si avvicina all’80% del part-time totale, ai due terzi al Centro e al 55% al Nord. La misura delle ore lavorate nei conti economici nazionali, spiega la Fondazione Di Vittorio, costituisce una misura più puntuale della quantità di lavoro effettivamente prestata. Secondo tale indicatore, l’Italia è nel 2018 ancora indietro rispetto al 2008 (‑4,8%, che corrisponde a 2,2 miliardi di ore in meno). Un livello più basso di quello pre-crisi si registra anche per l’insieme dell’eurozona (‑1,1%) e per la Spagna, con uno scarto più ampio di quello italiano (‑7,9%), mentre in Francia e in Germania le ore lavorate sono aumentate. Nel 2018 quindi, rispetto alla media dell’Eurozona, il tasso di occupazione italiano è più basso di 8,6 punti percentuali e, simmetricamente, il tasso di inattività più alto di 7,7 punti. Il tasso di disoccupazione è “solo” 2,3 punti sopra quello dell’eurozona, ma una quota rilevante di disoccupati è statisticamente “nascosta” dentro l’inattività. La condizione del lavoro nel Mezzogiorno si conferma come il principale problema da affrontare, con un divario negativo che è cresciuto non solo rispetto al 2008 ma anche ad anni ancora più remoti. Complessivamente, la qualità dell’occupazione è peggiorata. Sullo sfondo oltre alla crisi, conclude l'indagine, "ha inciso anche l’incessante spinta alla liberalizzazione, flessibilizzazione e precarizzazione del mercato del lavoro, vista come (quasi) l’unico strumento di politica del lavoro, e anche di politica economica". Fammoni (FdV): siamo molto indietro rispetto all'eurozona Nel 2018, nonostante un lieve recupero, i principali parametri dell’occupazione italiana "restano ancora molto distanti dalla media dell’eurozona e in alcuni casi il divario aumenta. Il tasso di occupazione italiano è più basso di 8,6 punti percentuali e simmetricamente il tasso di inattività più alto di 7,7 punti rispetto alla media europea". Questo il commento del presidente della Fondazione Di Vittorio, Fulvio Fammoni. Altro dato di rilievo, a suo avviso, "è una sostanziale differenza nella situazione italiana dovuta alla condizione geografica, con il Nord che ha tassi di occupazione in linea con quelli europei e un Sud con oltre 20 punti di ritardo. La qualità dell’occupazione italiana è peggiorata, come la crescita dei lavori a tempo determinato e del part time involontario dimostrano". Scacchetti (Cgil): dati che rafforzano le ragioni del 9 febbraio Del rapporto emergono principalmente due aspetti: "Il primo riguarda il tasso di occupazione che, nonostante il recupero degli ultimi anni, nel nostro Paese rimane nettamente inferiore alla media europea e che evidenzia un divario fra il Nord e il Sud in drammatica ascesa". Lo dichiara il segretario confederale della Cgil, Tania Scacchetti. "Preoccupa in questo quadro l'assenza di una forte politica orientata agli investimenti pubblici e privati, volta a generare nuove opportunità di occupazione e a rilanciare una seria politica industriale a partire dai settori più innovativi - osserva la sindacalista -. Preoccupa, inoltre, la persistente idea che il welfare e il lavoro pubblico in generale siano considerati costi da tagliare e non invece uno dei principali driver per lo sviluppo e per l’occupazione di qualità. Perseguire invece, come si sta facendo anche con il reddito di cittadinanza, mere politiche di incentivazioni economiche alle imprese che assumono rischia di rivelarsi una misura parziale e di poco respiro". Il secondo aspetto riguarda la qualità dell’occupazione. "Il recupero occupazionale si compone prevalentemente di crescita del lavoro a tempo determinato, anche di brevissima durata, e di lavoro a tempo parziale, in gran parte involontario - aggiunge Scacchetti -. I cambiamenti tecnologici e organizzativi nel mondo produttivo, sempre più globalizzato, accentueranno il rischio di una polarizzazione nelle condizioni di lavoro". Per questo è ineludibile affrontare questi temi in modo sistemico, sia attraverso politiche redistributive della ricchezza che restituiscano potere d'acquisto a lavoratori e pensionati, sia come proposto dalla Cgil con la Carta dei diritti universali ridefinendo norme che rafforzino le protezioni e i diritti a tutti i lavoratori. Infine, per Scacchetti, "altre due condizioni si stanno, purtroppo, caratterizzando come strutturali: l'alto tasso di lavoro nero o sommerso e il drammatico incremento dei giovani, spesso laureati, che emigrano per cercare opportunità fuori dal nostro Paese. Dati che rafforzano le ragioni della manifestazione unitaria nazionale a Roma del 9 febbraio, dal titolo 'Futuro al lavoro', per rivendicare politiche espansive a favore della crescita e del lavoro".
Le vere anomalie del lavoro
Dati e osservazioni dell'ultimo report della Fondazione Giuseppe Di Vittorio. Interviene Fulvio Fammoni, presidente FDV
30 gennaio 2019 • 16:30