da Rassegna.it L'accordo firmato la scorsa settimana sull’Ilva stabilisce che in Italia si continuerà a produrre acciaio senza penalizzare l’occupazione, il salario e i diritti. Dopo sei anni di lotte, tavoli e di scontri istituzionali, per Maurizio Landini, segretario confederale della Cgil, si tratta di “un lieto fine”. “Si è trovato un compromesso notevole – ha spiegato ai microfoni di RadioArticolo1 –, anche perché l’intesa prevede quasi 4 miliardi di investimenti nei prossimi anni, e afferma che si può produrre acciaio senza inquinare, né uccidere nessuno dentro o fuori dalla fabbrica”. Per Landini, però, è chiaro che “quell’accordo andrà applicato e gestito”. Ma la sintesi finale è “comunque positiva. Anche se ora bisogna ricostruire una fiducia nel rapporto con i lavoratori e con la città”. Adesso è il momento delle assemblee dei lavoratori che voteranno il testo, “un passaggio decisivo che impegna Mittal ad applicare i patti e allo stesso tempo legittima il ruolo delle organizzazioni sindacali”. Il testo siglato è comunque molto chiaro: “Vengono assunte subito 10.700 persone, e tutti, se non avranno altre collocazioni o non avranno accettato gli incentivi, alla fine del piano dovranno essere impiegati da Mittal”. Non ci sono licenziamenti, spiega Landini, “e in più vengono garantiti diritti, compreso il famoso articolo 18”. La Cgil ha chiesto al governo anche che “una quota delle azioni diventi pubblica”, perché “sarebbe utile se accanto a Mittal ci fossero soggetti di garanzia e di controllo sul piano. Questo accordo deve essere infatti utilizzato anche per ricostruire un rapporto di fiducia con il territorio e con la città”. La sintesi tra lavoro e ambiente, tra occupazione contro salute, era un obiettivo della Fiom e della Cgil sin dal principio della vertenza. “L'accordo sulle emissioni dell'altoforno – a detta di Landini – dimostra che l’ambiente è un problema vero e va affrontato. C'è la possibilità di farlo, ma servono investimenti sia per bonificare il territorio, sia per l’utilizzo di tutte le tecnologie migliori per abbattere le emissioni”. Nel testo, poi, si prevedono investimenti anche per la realizzazione di un centro di ricerca per tutto il gruppo a Taranto, “con l'obiettivo di verificare tecnologie alternative all'uso del fossile”. Eppure, quando si parla di Ilva non c'è solo Taranto. “Ci sono anche Genova, Alessandria, Milano e Racconigi: si tratta complessivamente di 14.000 persone”, ha spiegato Landini. In particolare su Genova “c'è l’impegno di Mittal per un incontro a breve sull'applicazione dell’accordo di programma. Evidentemente l’idea per cui la cancellazione dell'articolo 18 e dei diritti era funzionale agli investimenti è stata smentita. L’accordo ci dice esattamente l'opposto: il più grande gruppo multinazionale dell'acciaio al mondo investe in Italia applicandolo. Quindi, se è utile aver difeso l'articolo 18 a Taranto, allora il governo può anche agire per ripristinare ed estenderlo in tutta Italia, così come da tempo la Cgil chiede”. La chiusura della vertenza Ilva, quindi, può diventare una lezione importante “per affrontare il progetto di un nuovo modello di sviluppo dell’Italia”. “La visione di una politica industriale italiana – conclude Landini – deve essere inquadrata in un’idea di sistema-Paese. Il governo, l'università, le imprese, i lavoratori e le organizzazioni sindacali devono discutere e decidere insieme su come riorganizzare i processi produttivi e lavorativi. In questo processo, però, la Cgil vede la necessità di un intervento pubblico, così come l'affermazione di un lavoro di qualità e con diritti”.
La lezione dell'Ilva
In Italia si continuerà a produrre acciaio senza penalizzare occupazione, salario e diritti. Lavoro e ambiente dentro un unico percorso di politiche industriali. Intervista al segretario confederale della Cgil Maurizio Landini
10 settembre 2018 • 11:22