da Rassegna sindacale “Le diseguaglianze stanno assumendo un peso crescente anche nell’attuale fase di ripresa. Sono dunque un grande tema economico, ma soprattutto riguardano in negativo la condizione di milioni di persone. Tutto questo è fonte di paure, risentimenti, rabbia sociale”. Un groviglio di pulsioni che occorre combattere e ricondurre ad azione politica e sindacale, ci spiega Fulvio Fammoni, presidente della Fondazione Di Vittorio, presentando il convegno che si tiene oggi (martedì 19 giugno) a Roma. “Il peso delle diseguaglianze”, questo il titolo dell’iniziativa che si svolge presso la sede della Cgil (in corso d’Italia 25), in cui vengono divulgati i contenuti della ricerca omonima redatta dalla Fondazione. Nutrito il parterre dei relatori: oltre a Fammoni, prendono la parola Carlo Buttaroni (presidente Tecnè), Pier Giorgio Ardeni (presidente Istituto Cattaneo), Massimiliano Tarantino (segretario generale Fondazione Feltrinelli) ed Enrico Giovannini (portavoce Asvis). Conclude i lavori il segretario generale della Cgil Susanna Camusso. Rassegna Partiamo dalla definizione: cosa intendiamo per “diseguaglianze”? Fammoni Da tempo la Fondazione Di Vittorio monitora le diversità nel lavoro e nelle sue forme, così come monitora il tema della qualità dello sviluppo dal 2015, assieme all’Istituto Tecnè. Il reticolo delle diseguaglianze è molto vasto, a partire dalle economiche, dai salari, a quelle legate alle tipologie di lavoro. Le diseguaglianze sociali e le disparità nell’accesso e nella qualità dei servizi sono molte: da quelle territoriali alla mobilità, dalla sicurezza all’ambiente, al welfare. Tutti temi che crescono a geometria variabile fra una parte della popolazione e del territorio, così come le disparità culturali, che creano un diverso ‘capitale sociale’ anche nelle zone considerate in situazione migliore. Rassegna Sono dunque fattori che minano il rapporto con gli altri, creando un senso di sfiducia ed esclusione. Il pensiero va subito all’attualità: il tema dell’immigrazione. Fammoni Se si valutassero gli effetti fiscali, occupazionali, economici e demografici del fenomeno, si confermerebbe che il contributo al bilancio pubblico è in attivo di quasi un punto di Pil. Invece si utilizza solo il tema del welfare (previdenza esclusa) perché gran parte della popolazione immigrata si posiziona nei quintili di reddito più bassi, e la spesa sociale, a livello locale, vede un maggior accesso di questa parte della popolazione ai servizi. Ciò comporta un impatto con parti di popolazione che spesso presentano caratteristiche simili, ma magari a un livello di reddito leggermente superiore, che si sentono così scavalcate nei diritti di accesso alle prestazioni. In realtà questa vulnerabilità è legata al peggioramento della condizione degli italiani, ma naturalmente è più semplice addossare la responsabilità di questi problemi ai fenomeni migratori che non risolverli. Rassegna Come possiamo, e come può il sindacato, invertire questa tendenza? Fammoni Servono, ovviamente, azioni materiali per uno sviluppo qualitativamente e quantitativamente più giusto. Ma occorre soprattutto un intervento di carattere culturale: occuparci di quel senso d’ingiustizia diffuso che si percepisce, garantire un’uguale dignità di accesso ai diritti, in mancanza della quale si violano libertà sostanziali. Durante la crisi, e tuttora, la Cgil ha avanzato due proposte fondamentali: il Piano del lavoro e la Carta dei diritti. Proposte di valore strategico e culturale per contrastare la crisi e rideterminare le priorità. Finora la politica tutta, e il “contratto di governo” ne è l’ultima conferma, non ha trovato la chiave per dare risposte alle diseguaglianze prodotte dalla globalizzazione, mentre i cambiamenti, a partire dalla digitalizzazione, richiederebbero una forte strategia di proposta e di governo. Rassegna In questo senso la Cgil ha già anticipato il tema, considerato che già da tempo s’interroga sulle tecnologie 4.0. Fammoni La nuova rivoluzione industriale, legata appunto alle tecnologie 4.0, cambierà molte cose, soprattutto in un paese che vede gran parte del tessuto produttivo fatto di piccole aziende. È ovvio che il risultato finale sarà in parte legato a formazione e competenze. Il problema riguarda il sindacato quanto le imprese: non a caso, e per la prima volta, in un accordo tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil vengono affrontati temi come la certificazione delle competenze, il sistema educativo pubblico, la capacità formativa delle imprese distinta dalle esperienze lavorative, lo sviluppo della formazione continua, l’accordo tra forze sociali e governo per un grande piano di riqualificazione del personale. Su questi aspetti il “contratto di governo”, a partire dal capitolo sulla scuola, è carente. Occorre ribadire, invece, che per la Cgil il lavoro è il presupposto per affermare la dignità e la libertà delle persone, e quindi la loro uguaglianza e parità sociale. Rassegna Veniamo al core business dell’azione sindacale: qual è la condizione del lavoro oggi in Italia? Fammoni La disoccupazione ufficiale è alta, e anche nel corso del 2018 difficilmente scenderà sotto la soglia dell’11 per cento, ma le persone che dichiarano di sentirsi in cerca di occupazione sono molte di più. La mancanza di lavoro è ovviamente il principale fattore di diseguaglianza, ma anche fra chi lavora le differenze sono rilevanti. Gli occupati part time involontari sono 2 milioni 627 mila, passando dal 38,3 per cento del 2007 al 61 per cento nel 2017. Gli occupati temporanei non volontari (95,7 per cento del totale nel 2017) sono 2 milioni 849 mila, il 12,4 per cento del totale dell’occupazione, quota che sale quasi al 15 fra i lavoratori dipendenti. La somma di questi fattori porta nel 2017 al numero record di 4 milioni 605 mila persone nell’area del disagio, con un incremento rispetto al 2007 di 1 milione e 467 mila persone (pari a +46,8 per cento). Va aggiunto, infine, che le diseguaglianze e le differenze si ramificano per regione, per genere (con un ulteriore svantaggio verso le donne), per età (con la fascia sotto i 35 anni che arriva al 38,4 per cento di disagio), per cittadinanza e per titolo di studio. Rassegna Numeri che sicuramente allarmano, e che sembrano evidenziare il pericolo di una “rottura sociale”. Fammoni Noi avevamo letto ‘prima’ dell’esito elettorale, inascoltati, un pericolo di questa natura. Aver solo semplificato, dando per scontata la rassegnazione nelle fasce più deboli e rinunciando così a ricomporre e riunificare ciò che la crisi ha frantumato, è stato un grave errore. L’eguaglianza si nutre di universalità, ma anche di speranze e di fiducia, di rappresentanza sociale da allargare con un’idea di partecipazione e d’intreccio tra strumenti di democrazia diretta e forme di democrazia rappresentativa. Rassegna E allora, in conclusione, come intervenire? Fammoni La soluzione impone un programma di sviluppo di largo respiro, coerente e sostenibile, e una politica finalmente espansiva d’investimenti pubblici. Sviluppo però non cieco alle diversità del territorio, investimenti che unifichino e non dividano ancor più, non compensazioni compassionevoli. Il lavoro va inteso come valore sociale, non svalorizzato a fattore di costo. Occorrono realtà, non astratte teorie, e occorre il fondamentale ruolo di raccordo fra società e Stato delle forze sociali, tutte cose però che non vedo nell’agenda della politica.
Il peso delle diseguaglianze
Ne parlano Fulvio Fammoni, presidente Fondazione Di Vittorio; Carlo Buttaroni, presidente Tecnè; Pier Giorgio Ardeni, presidente Istituto Cattaneo; Massimiliano Tarantino, segretario generale Fondazione Feltrinelli; Enrico Giovannini, portavoce Asvis
19 giugno 2018 • 12:36