La narrazione sulle migrazioni è connotato sempre più, nel nostro Paese, da disinformazione, ideologia ed esasperazione. Qualche giorno fa l’associazione Carta di Roma ha festeggiato i primi dieci anni di attività. Un lavoro prezioso e necessario per mettere un argine alla barbarie linguistica in corso. La prima regola della Carta di Roma, ci ricorda Sabika Shah Povia che fa parte dell'associazione, "è quella che invita i giornalisti ad utilizzare sempre i termini giuridicamente appropriati al fine di restituire al lettore la massima aderenza alla realtà dei fatti, evitando l’uso di termini impropri". Sembra una banalità, ma oggi è ancora più necessario riaffermarlo. Perché non esistono parole sbagliate, esiste invece l’uso sbagliato delle parole. “Invasione”, “clandestino” e “razza” sono solo alcune delle parole male utilizzate nel racconto delle migrazioni, fino al punto di costruire una percezione del fenomeno migratorio ben diversa dalla realtà. Ne è convinto anche lo scrittore Paolo Di Paolo che, ai microfoni di RadioArticolo1, sottolinea come "la disinformazione sia frutto di una precisa volontà di esasperare le paure della gente". Colpa, secondo Di Paolo, "di una ingiustificata esasperazione di un fenomeno che andrebbe affrontato razionalmente e non cavalcato con istinti di pancia". Stefano Milani
Il naufragio delle parole
“Invasione”, “clandestino”, “razza” sono alcuni termini male utilizzati nel racconto delle migrazioni che rendono una percezione ben diversa dalla realtà. Intervengono Paolo Di Paolo, scrittore, e Sabika Shah Povia, Carta di Roma. A cura di Stefano Milani
4 luglio 2018 • 12:00