da Rassegna sindacale Un ordine del giorno non c’è. Per i sindacati si parte dalla piattaforma unitaria, a sostegno della quale si è svolta il 9 febbraio la grande manifestazione di Roma. E si prova ad approfondire il vasto tema della previdenza, al centro del primo (e finora unico) incontro col governo del 25 febbraio scorso. Cgil, Cisl e Uil si aspettano molto dal confronto di oggi (mercoledì 13 marzo) a Roma, convocato per le ore 15.30, cui dovrebbe partecipare anche il vicepremier Di Maio (che invece al primo round non era presente). Lavoro, pensioni, salario minimo, reddito di cittadinanza, fisco: tanti i temi in agenda, per un vertice ad ampio spettro che i sindacati auspicano non essere “interlocutorio” come invece è stato il primo. “Non si risolve tutto in due ore, ma in due ore bisogna capire se si apre o meno una fase nuova di rapporti tra il mondo del lavoro e il governo”. Questo l’obiettivo del segretario generale della Cgil Maurizio Landini riguardo all’incontro di oggi, da cui si aspetta “l’inizio di un percorso per affrontare i problemi che noi, con la manifestazione del 9 febbraio, abbiamo posto”. Perché di problemi ce ne sono, ha concluso, e vanno “dagli investimenti alla politica industriale, da una riforma fiscale degna di questo nome a una vera riforma delle pensioni. C’è il problema di rimettere al centro il lavoro, e poi c'è il problema di come far ripartire il Paese”. L’unico incontro tenutosi finora tra governo e sindacati, si diceva, è stato sulla previdenza. Ed è da qui che ripartiamo per passare in rassegna i temi principali al centro del vertice odierno. “Raccontare che con quota 100 si cambia la Fornero è solo una presa in giro, ormai siamo agli slogan”, ha commentato nei giorni scorsi il segretario generale della Cgil Maurizio Landini: “Cambiare davvero la Fornero significa modificare i suoi punti di fondo: se io ho 60 anni d’età e 40 di contributi in pensione non ci vado, quindi non siamo a quota 100”. Per Landini “bisogna riformare davvero la Fornero, a partire dal contributivo che non esiste in nessuna altra parte al mondo”. Una posizione che la Cgil ha articolato nel corso dell’audizione alla Camera (del 4 marzo scorso) sul cosiddetto decretone. “È una misura che non dà risposte alle donne, a chi ha carriere discontinue, al Sud e a chi ha svolto lavori gravosi”, ha affermato il segretario confederale Roberto Ghiselli: “Il provvedimento, anche per il suo carattere temporaneo e sperimentale, non potrà essere utilizzato, o lo sarà solo in parte limitata, dalla più vasta platea dei lavoratori e delle lavoratrici. Soprattutto da tutti coloro che hanno avuto carriere discontinue, a iniziare dalle donne (già le prime richieste evidenziano che solo un quarto delle stesse sono state presentate da donne), per continuare a chi ha operato in settori particolarmente caratterizzati da stagionalità o appalti, come l’agricoltura, l’edilizia o il turismo, o dove è presente un’alta mobilità professionale, come nelle piccole imprese”. Ghiselli ha poi rilevato che l’intervento del governo “esclude, nei settori privati, le aree più svantaggiate del Paese”, chiedendo dunque “un riequilibrio della misura, introducendo sin d’ora alcune modifiche per renderla più accessibile a questi soggetti”. Cgil, Cisl e Uil sollecitano il governo a varare una riforma organica e strutturale, basata “sulla flessibilità in uscita a partire dai 62 anni di età” e sul superamento, per quanto riguarda il sistema contributivo, degli attuali vincoli “che rendono molto difficile l'accesso al pensionamento, poiché condizionano il diritto alla pensione al raggiungimento di determinati importi soglia dell'assegno (1,5 e 2,8 volte l'assegno sociale)”. Più in generale, i sindacati chiedono il riconoscimento della maternità e del lavoro di cura come requisito contributivo per le lavoratrici, la possibilità di andare in pensione con 41 anni di contribuzione a prescindere dall'età, il blocco dell'incremento dei requisiti per aspettativa di vita anche per la pensione di vecchiaia, l’introduzione di una pensione contributiva di garanzia per i giovani, il ripristino della piena rivalutazione delle pensioni per salvaguardare il valore degli assegni (come stabilito nell'accordo tra governo e sindacati del 2016), il riconoscimento ai fini previdenziali dei lavori gravosi e usuranti, il passaggio da temporaneo a strutturale delle tutele previste a favore delle categorie rientranti nell'Ape sociale. Altro tema che presumibilmente sarà al centro della discussione è la legge di stabilità. “Una legge sbagliata e del tutto inadatta a innescare una vera crescita economica”, l’ha definita più volte Landini. Diverse sono le critiche argomentate dalla Cgil, a partire dalla necessità di una riforma fiscale basata sulla progressività delle imposte. “Va messa in campo una riforma che riduca la tassazione per quelli che pagano già e che intervenga anche su tutte le forme di ricchezza che oggi esistono, da reddito e non solo. Ognuno deve pagare in base a quello che guadagna e alle sue proprietà”, ha detto: “È evidente che da noi c'è una questione di diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza. È sotto gli occhi di tutti che chi era più ricco è diventato ancora più ricco e chi era povero si è impoverito ancora di più. La risposta non è la flat tax, che fa soltanto aumentare questi squilibri”. Allo stesso tempo bisogna rilanciare gli investimenti. “Senza un piano straordinario di investimenti pubblici e privati non si creano posti di lavoro, oggi abbiamo più che mai necessità di impiegare risorse per rimettere in moto il Paese. L’esecutivo invece ha ridotto gli investimenti, soprattutto per il Sud e per il mondo pubblico, e ha chiuso i cantieri”, ha spiegato il segretario Cgil. Evidenziando un punto che sembra essere sfuggito ai più: “Nella legge di stabilità hanno messo le poste per l’aumento dei salari nel pubblico impiego. Stando a quelle cifre, l’incremento sarà di 14 euro lordi nei prossimi tre anni. Non si rendono conto che così facendo offendono se stessi e i lavoratori, non si rendono conto che il lavoro pubblico è cultura e assistenza alle persone, è diritto alla salute e inclusione sociale, è solidarietà e crescita del paese”. Provvedimento simbolo del governo è il reddito di cittadinanza. La Cgil, pur condividendo l’obiettivo della lotta alla povertà, non è d’accordo con lo strumento usato. “Il reddito di cittadinanza, a differenza del Rei (Reddito di inclusione) che era una misura dedicata, mette insieme la lotta alla povertà con le politiche per il lavoro. Oggi purtroppo non basta avere un lavoro per essere fuori dalla povertà, si può lavorare e non arrivare comunque a pagare casa, affitto, scuola. Dipende dai salari bassi, dalla precarietà, dai part time involontari che sono in aumento”. Il sindacato evidenzia anche il fatto che “i posti di lavoro non li creano i Centri per l'impiego, ma gli investimenti” e che per combattere la povertà “bisogna anche estendere tutta una serie di servizi sociali che oggi non ci sono, come la non autosufficienza, l’istruzione, gli asili nido”. Sempre sul reddito di cittadinanza, la Confederazione sottolinea una contraddizione: “Nei Centri per l'impiego molte volte la gente è precaria. Addirittura queste nuove figure che si sono inventati, i cosiddetti ‘navigator’, verrebbero assunti con contratto di collaborazione. È singolare che un precario debba trovare un lavoro stabile a chi non ce l'ha”. Al tavolo è presumibile che il governo ponga anche il disegno di legge annunciato sull’introduzione del salario minimo. “Non siamo contrari come concetto ma, visto che tra l'80 e il 90 per cento dei lavoratori italiani è coperto dai contratti nazionali, noi proponiamo di rendere quei contratti ‘erga omnes’, che valgano cioè per tutti”, ha detto Landini in una recente intervista rilasciata al settimanale L'Espresso: “In questo modo, oltre al salario, anche altri aspetti come le ferie diventerebbero per legge i minimi sotto cui non si può andare, minimi non fatti dal Parlamento, ma dalla contrattazione tra le parti. Basterebbe recepire gli accordi interconfederali”. Il segretario generale ha anche posto in evidenza che “se invece il Parlamento stabilisce un salario che prescinde dalla contrattazione, e che può essere persino più basso dei limiti contrattuali, questa diventa una norma di legge che contrasta la contrattazione collettiva. È proprio in un'ottica di rafforzamento della contrattazione che abbiamo anche chiesto di misurare la rappresentanza dei sindacati, così che gli accordi abbiano validità generale. Eravamo d'accordo tutti, sindacati e confederazioni. Il governo doveva fare la convenzione con l'Inps per accedere ai dati che certificassero iscritti al sindacato e contratti applicati dalle aziende. Ma l'esecutivo ha bloccato tutto. E poi viene a raccontare che ci sono privilegi e non c'è rappresentanza”.
Il lavoro al centro
Alla vigilia degli incontri con Confindustria e governo, aspettative e priorità di Maurizio Landini, segretario generale Cgil
12 marzo 2019 • 16:27