In Cina la diffusione del Coronavirus ha portato a un incremento esponenziale del telelavoro. E sempre più insistentemente sulle pagine dei quotidiani italiani e stranieri si riflette sull’opportunità di dare maggiore spazio allo smartworking per limitare il contagio. Organizzare il lavoro senza vincoli di orario o di spazio consentendo così di prestare servizio anche da casa non è sempre possibile e non tutte le occupazioni lo consentono. In Italia la legge di riferimento è la numero 81 del 2017. Oggi che tutti guardano a questa modalità come scialuppa di salvataggio davanti a un’epidemia la prima domanda che ci poniamo è: saremmo pronti alla riorganizzazione? Tania Scacchetti, segretaria nazionale della Cgil, risponde così: “Penso che il sindacato sia pronto prova ne è che anche una parte della legislazione sullo smartworking segue di fatto alcuni accordi sindacali. In alcuni ambiti la contrattazione ha preceduto la legislazione.” Coronavirus a parte, lo smartworking può essere uno strumento di grande rivoluzione organizzativa e di innovazione per il lavoro delle imprese. Persino di riorganizzazione degli stili di vita e delle città. Culturalmente si esce dallo stereotipo del controllo ossessivo dell’impresa sulla presenza del lavoratore, ma a quest’ultimo va assicurato il diritto alla disconnessione e ne va evitato un eccessivo isolamento.
Coronavirus: tutti a casa
Epidemiologi, sociologi ed economisti rilanciano lo smartworking per limitare il contagio e riorganizzare il lavoro. Intervista a Tania Scacchetti, Cgil nazionale
18 febbraio 2020 • 16:08