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Il 26 settembre del 1970, poco più di due mesi dopo la strage di Gioia Tauro causata dal deragliamento del treno direttissimo Siracusa - Torino Porta Nuova del 22 luglio, partono per Roma con una mini minor carica di documenti Gianni Aricò, Angelo Casile, Franco Scordo, Luigi Lo Celso e Annalise Borth, età media ventidue anni. Li aspettano i compagni anarchici della capitale, li aspetta l’avvocato Edoardo Di Giovanni. A Roma, però, gli "anarchici della baracca" non arriveranno mai. Si schianteranno sull’autostrada tra Ferentino e Frosinone, a 58 chilometri dalla capitale, contro un camion parcheggiato sul ciglio della strada. I magistrati di Frosinone propenderanno per una disgrazia, eppure lo stato in cui viene ritrovata la Mini minor fa pensare alla presenza di un terzo veicolo.
Casile, Scordo e Lo Celso - seduti nel sedile posteriore - muoiono sul colpo. Aricò, che si trovava alla guida, ventiquattro ore dopo. Sua moglie Annalise Borth, diciannovenne tedesca di Amburgo, alla fine di un’agonia durata venti giorni. “Un tragico incidente stradale ha stroncato la vita dei giovani anarchici Giovanni Aricò, Angelo Casile, Luigi Lo Celso, Francesco Scordo - recitava un manifesto a lutto di anarchici reggini - Manifestiamo la nostra profonda ammirazione e gratitudine verso questi compagni che, animati da sublimi ideali, hanno dedicato la loro breve esistenza lottando tenacemente contro ogni forma di ingiustizia sociale in un continuo anelito di libertà e di amore verso i poveri, gli umili e gli sfruttati”.
“Abbiamo scoperto cose che faranno tremare l’Italia”, aveva confidato Gianni Aricò alla madre pochi giorni prima di morire. “È meglio che non faccia partire tuo figlio”, aveva detto un amico poliziotto al padre di Lo Celso, la sera prima della partenza. Nel 1993 i collaboratori di giustizia Giacomo Lauro e Carmine Dominici confermeranno al giudice istruttore milanese Guido Salvini la presunta collusione tra ambienti d’estrema destra e ‘ndrangheta, sostenendo la diretta responsabilità di questi nei fatti di Reggio e nell’attentato di Gioia Tauro.
“Personalmente - dirà Carmine Dominici - ritengo che quello dei cinque ragazzi non sia stato un incidente ma un omicidio. E tale opinione è condivisa anche da altri militanti avanguardisti. Non sono assolutamente in grado di indicare chi potrebbe aver preso parte alla presunta azione omicidiaria e, peraltro, era illogico che ci si rivolgesse a militanti calabresi in quanto ciò avrebbe comportato un pericoloso spostamento geografico”. “Sono convinto - aggiungerà il procuratore Salvo Boemi nel 2001 - che quei cinque giovani avessero trovato dei documenti importanti. Non riesco a spiegarmi in altro modo la sparizione di tutte le carte che si trasportavano nella loro utilitaria. È un caso che avrei desiderato approfondire (...) ma esistono insormontabili problemi di competenza”.
Documenti importanti che probabilmente avrebbero consentito, se consegnati a chi di competenza, di ricostruire una catena di comando che da Reggio Calabria conduceva fino a Roma, fino al disegno golpista del principe Junio Valerio Borghese. Che avrebbero consentito, forse, di fare luce su di un’altra strage altrimenti destinata a restare impunita. E non solo per il tanto tempo trascorso.
“Quella maledetta notte del 26 settembre - scriveva Fabio Cuzzola nel volume Cinque anarchici del Sud - ha segnato, distrutto, violentato tante famiglie, ha spezzato legami forti, amicizie sanguigne, ha cancellato le speranze e i sogni di cinque giovani del Sud. (...) Il silenzio è sceso come una fossa comune dove sono state sepolte e cancellate le storie, i documenti e i terribili segreti che questi giovani portavano con sé. Ci sono voluti venticinque anni perché un magistrato, il giudice Guido Salvini del tribunale di Milano, riaprisse il dossier relativo al deragliamento del treno a Gioia Tauro il 22 luglio del 1970. Anche in questo caso si parlò subito di incidente, ma qualche anno dopo si scoprì che si trattava di un attentato, senza per altro che emergessero colpevoli e mandanti. Era proprio quello che avevano scoperto questi giovani anarchici e avevano raccolto in un dossier che stavano portando a Roma. Ci son voluti dei pentiti fascisti e mafiosi che parlassero di tutto questo perché, per un attimo, ritornasse l’attenzione su quella notte maledetta quando, in un’ora incerta, improbabile, tra la fine dell’ora legale e l’inizio dell’ora solare, un camion di frutta (probabilmente con l’ausilio di un’altra macchina) spargesse sull’asfalto il sangue innocente di chi credeva veramente nella libertà e nella giustizia”.
Nel cinquantesimo anniversario della morte degli anarchici della baracca (il nome deriva dalla villa Liberty nei pressi di Reggio Calabria dove i giovani usavano ritrovarsi, la cosiddetta ‘Baracca’, un edificio costruito come alloggio d’emergenza dopo il terremoto del 1908 e diventato centro d’aggregazione per i reggini negli anni Sessanta), il rapper Kento ha scritto una canzone in loro memoria - Cinque Anarchici - prodotta da Mad Simon e disponibile dal 22 settembre 2020 su tutte le piattaforme digitali. Il singolo è accompagnato dall’omonimo videoclip realizzato da Helio Gomez (GUARDA).